La storia dei tradizionali mass-media è basata sull’utilizzo delle tecnologie analogiche: diversi strumenti che hanno ottenuto risultati eccellenti, ma che oggi mostrano l’incapacità di far fronte alle nuove esigenze comunicative della società a sviluppo globale.
Il sistema analogico si fonda sempre su un rapporto di 1:1, ovvero ad un elemento del codice inviato corrisponde un analogo elemento del messaggio da codificare, senza la possibilità di eliminare le parti inutili e con la necessità di avere una notevole ridondanza per ovviare ai possibili errori dovuti a disturbi nel canale di trasmissione.
La tecnologia digitale, invece, si fonda su sistemi integrati che permettono l’eliminazione di diverse strutture intermedie.
L’analogico limita inevitabilmente la comunicazione attraverso i media ad una semplice scelta dell’offerta, mentre il digitale consente da un lato la possibilità
di integrare sotto un unico codice modalità interattive differenti (multimedialità), dall’altro di aumentare le risorse gestibili dal canale di ritorno, riequilibrando la vecchia asimmetria comunicativa tra emittente e ricevente e costruendo le basi di uno scambio realmente interattivo.
L’esigenze di una comunicazione più profonda e completa vengono quindi soddisfatte attraverso la svolta digitale e ai profondi cambiamenti dovuti al passaggio da un mondo dominato dagli atomi a uno in cui imperano i bit. Al contrario degli atomi, i bit sono impalpabili, senza peso, facili da spostare.
La differenza tra cose che in origine sono diversissime, come un giornale e una canzone, scompare: i bit sono tutti identici, obbediscono alle stesse regole, possono essere manipolati con le stesse tecniche e viaggiare attraverso gli stessi canali. Ma non è tutto.
Quello che più conta è che molto di ciò che ha valore nella nostra società può essere trasformato in bit, cioè in lunghe catene di zero e di uno. Una fotografia, una canzone, un film, un giornale o l’intera Enciclopedia Britannica: tutto può essere trasformato e ridotto a questa specie di denominatore comune universale, il bit.
Il processo di smaterializzazione dei canali comunicativi, che specifica il senso moderno del concetto d’informazione, iniziato nel 1844, anno della prima trasmissione tramite telegrafo tra Washington e Baltimora ed inizio della comunicazione in tempo reale, e passato poi attraverso i diversi stadi dei messaggi via etere, trova quindi la più recente fase della propria evoluzione nella “rivoluzione digitale”.
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Fondamenti di comunicazione elettronica
Il computer riflette la mente intesa come trama di elementi visivi
e verbali disposti entro uno spazio concettuale. J.D.Bolter
Gli elementi decisivi, che hanno reso possibile la crescita esponenziale della potenza di calcolo, base di tutti i processi info-comunicativi elettronici, sono:
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le reti neurali
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i calcolatori ad architettura parallela.
Mentre il computer tradizionale, detto “seriale”, elabora i dati su basi unitarie, quelli ad architettura parallela, invece, riescono a compiere calcoli su basi diverse e contemporaneamente.
Questa propietà pone le basi per la realizzazione di computer in grado di “imparare” e non solo di memorizzare.
Nasce in questo modo una similitudine tra il cervello umano e le reti neurali, una relazione precisa basata sul modello associativo, che già negli anni ’40, era considerato da Vannevar Bush il meccanismo principale per il funzionamento della nostra attività intellettiva e, non a caso, anche del suo grandioso progetto ipertestuale denominato “memex”.
Poi negli anni ’60 è il francese Douglas Engelbart a ribadire il rapporto tra pensiero umano e intelligenza artificiale, prospettando la tesi secondo cui il computer è uno strumento per potenziare le facoltà intellettive umane.
Lo stesso Engelbart fu uno tra i primi studiosi di stampo umanistico a interessarsi del problema dell’interazione tra uomo e macchina.
Nel 1968, inventando il mouse, Engelbart compì un passo decisivo per rendere la tecnologia informatica più “amichevole” e diede inizio alla diffusione del computer come mezzo utilizzabile anche da individui non particolarmente specializzati.
Per la prima volta l’interfaccia nasconde la sua artificialità con un processo soprattutto iconico di facilitazione e di semplificazione di comandi, di programmi, di azioni, lasciando sempre più sullo sfondo la comunicazione alfanumerica, ed il computer da strumento di calcolo scopre anche una propria natura simbolica.
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